sedermi in balcone e guardare il cielo illuminarsi ad intermittenza di lampi e la pioggia scrosciare con così tanta violenza sull'asfalto da sollevare alle luci dei fari delle auto nuvolette di brina mi riporta al Natale dell'anno scorso: la pioggia è diventata grandine e poi nevischio. Non la neve più solida che avessi mai visto, ma ricordo una passeggiata mattutina sotto Natale con scarpe non adeguate che spattinavano sull'asfalto ghiacciato e sul nevischio del marciapiede. Ero ridicola. Camminavo lungo il fiume e prima che ricominciasse a nevicare mi ero goduta il paesaggio compreso di strada chiusa alla circolazione e comunque pochissime macchine. Stranamente. Gli pneumatici qui sono equipaggiati per affrontare rigidi inverni, a differenza di quello che avviene al sud in caso di neve (si paralizzano regioni). La neve però amo percorrerla a piedi.
La pioggia e grandine che sta tempestando la zona in questi giorni a tratti mi riporta al significato simbolico della pioggia che lava i peccati dal mondo.
Nella Bibbia dopo la morte del Profeta scoppia un violento temporale a simbolismo dell'ira divina ma anche del peccato originale assolto - e sciacquato via dalla pioggia. (C'è un bel po' di peccato da lavare via. Non basterebbe la coperta della cupola celeste ad asciugare tanto sangue e tante lacrime. Nemmeno un diluvio universale potrebbe espiare la colpa)
Ancora ottocento, novecento anni dopo che Gesù ci ha redenti i monaci si flagellavano e le persone venivano uccise per espiare la colpa di essere umani - Adamo ed Eva mangiano dall'albero della conoscenza del bene e del male, in altre parole si scoprono mortali. Diventano imperfetti perché sanno della loro vulnerabilità, il peccato da punire è intrinseco alla natura dell'essere umano, unico fra le specie ad avere la certezza della morte.
La vulnerabilità è il tratto distintivo dell'essere umani, le lacrime ci distinguono dagli animali. Ed è dell'umanità dell'altro che ci si innamora. Attraverso le crepe della sua debolezza, del suo "peccato" e della sua vulnerabilità, possiamo scoprire la nostra vulnerabilità, scorgere la vera, grande bellezza che non sta nella perfezione e nell'inappuntabilità ma proprio nelle crepe sull'asfalto che permettono ai fiori di trovare un modo per intrufolarsi attraverso il cemento. La vita nonostante tutto.
Io sono stata voluta bene, prima: qualcuno ha visto l'umanità oltre la corazza di rovi. Ma c'è che non me ne faccio nulla di questa novità. Ho avuto momenti in cui mi si è schiuso il cuore come un fiore a primavera e sentivo di essere così felice... anche circondata da problemi e senza che nulla stesse succedendo, la felicità, fugace, si era verificata nella mia vita. Un'autrice che leggevo da ragazzina scriveva che può arrivare in qualunque momento o non arrivare mai a prescindere dalle condizioni di partenza.
Ma per sua natura è passeggera e ho lacrimato parecchio. Molto di più, molto più spesso...
E i pensieri cattivi sono tornati nonostante gli antidepressivi. E il mondo è diventato un'immensa piazza senza elementi che devo percorrere senza una mappa. Il mondo è nella mia casa da 45 metri quadri. Neanche qui sono nel mondo - come non lo sarei fuori. Non appartengo a nessun posto. E mi sento molto sola.
Nella mia mente prende forma la cosa più vicina alla serenità che potrei avere nella mia vita, qualcosa che assomiglia come un vaghissimo fantasma all'infinita gioia di quel Natale, di quelle piccole luci di gioia immotivata... una vita vissuta coerentemente a pigrizia e codardia, una vita non vissuta nella comodità della propria zona di comfort, senza conflitti, senza sfide e senza paure da affrontare.
La vita di un'ameba è la mia idea di vita.
Non c'è però un posto al riparo dal dolore dell'altro. l'animale della Tana di Kafka non è riuscito a seppellirsi abbastanza in profondità.
Quando sono triste osservo il cielo di giorno dal letto accanto alla finestra. Il cielo è lontano, doloroso, e di fronte all'immensa vastità della cupola celeste mi sento di non esserci più. Mi sento di trovare la risonanza perfetta con quello che provo tutti i giorni, quanto sono insignificante e quanto uscire dall'insignificanza mi sia costato sforzo, senza risultato - fallita, nullità, fallita, nullità eterna, niente e nessuno...
Anche a vent'anni in effetti sentivo che fosse già finita. Sono diventata vecchia a dieci?... E con questi due occhi perennemente cupi e tristi che porto per il mondo e che vedono il mondo nel buio, l'eredità di tante vicissitudini, nessuno potrebbe mai più provare altro che pietà o indifferenza. Della solitudine sono certa. Che ridano di chi non sorride in pubblico, di chi non appare rilassato in pubblico.
Sui mezzi pubblici, nei locali, per strada: distendi i muscoli del viso e sfoggia un sorriso appena accennato, uno sguardo aperto e sereno. Fingilo.
Fiutano, fiutano il tuo dolore.
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