Avevo un idiota per compagno di classe al liceo che un giorno, "filosoficamente", si interrogò su Facebook: "Chi definisce la normalità?!". Subito accorsero a rispondere i suoi intellettuali amici, rispondendo, prevedibilmente, "ciò che è comune è normale; ciò che riguarda una minoranza non lo è".
Dunque dovremmo dire che se il marrone è un carattere predominante e il biondo e l'azzurro caratteri recessivi per occhi e capelli, e dunque il marrone come tonalità di iride e di capello è ampiamente più comune, occhi azzurri e capelli biondi non sono "normali"?
Anche spostando la questione sul un punto di vista sociale: chi, in questo mondo, è davvero normale? Provate a piazzare una telecamera in ogni stanza della casa di una qualunque persona considerata in società "rispettabile e normale", mentre è da sola, e vedrete che - schiettamente parlando - nel 80 per cento del tempo agisce in maniera vergognosa, improponibile in pubblico. La casa è il posto dove puoi fare schifo indisturbato. (Se ci venisse tolto il diritto di fare schifo in privato, non so quanto aumenterebbero i ricoveri in psichiatria.)
Non ho difficoltà a immaginare che quei dotti commentatori diciottenni di allora (come oggi) commettessero in privato una serie di stranezze che se fossero state osservate in pubblico avrebbero di certo costituito motivo di irrisione e isolamento sociale. Quindi ciò che distingue una persona normale da una che non lo è, essenzialmente, è l'autocontrollo. La capacità di reggere la maschera.
"La vita è una festa in maschera e io ho partecipato con la mia vera faccia", si rammaricava Kafka. Lui, che così bene descrisse la sensazione di essere... uno scarafaggio. Perché sapeva cosa significava essere isolati.
Ma in fondo, qual è la differenza fra sentirsi "normali" o "anormali", "giusti" o "sbagliati", "il meglio possibile" o "le vittime assolute"?
Qualunque cesura fra sé e gli altri come individui "diversi" (dire: "Io sono diverso da") sottintende sempre narcisismo, che si tratti di una diversità che autoesalta ("Sono il migliore di tutti") o che autosvilisce ("Sono inferiore agli altri"). Le persone sane infatti si mantengono mediocri, cioè nella media. Vivono vite poco entusiasmanti, forse noiose, perché vivono vite fatte di cose che contano - gli affetti, la pace, l'amicizia, la tranquillità di un libro. Ma sono più felici e meno stressate, ovviamente, di chi (in realtà questo comportamento sarebbe già "normalizzato"...) si fa di droghe o beve come una spugna perché la vita è grama e lui soffre tanto tanto.
La vita è grama per tutti, deal with it. Le persone però si impegnano per rimanere in equilibrio. Perché sanno che se si lasciassero andare, finirebbero nell'androne scuro dei... non-normali. Pertanto verrebbero emarginati. E l'emarginazione, l'essere soli, equivale alla morte, essendo l'uomo un animale sociale.
"Visto da vicino, (però), nessuno è normale". La normalità è un gioco basato sull'ipocrisia. E sulla moderazione. Equilibrio. Serve solo falsità ed equilibrio per andare avanti.
Non ho mai avuto né l'una (sono spontanea da far cascare le braccia) né l'altro (non sono un tipo paziente e calmo). Perciò ci sta che mi considerino in un certo modo e se possono mi scansano.
Fino ad oggi, almeno, questa è stata la narrazione.
Detesto pensare a me stessa come quella scema paciarona che ride per tutto, sorride a tutti e abbraccia tutti, perché le mie ferite non sono meno profonde delle loro che stanno con i musi lunghi, silenziosi e in disparte. So solo occultarle meglio - ma questa finzione, occasionalmente, non è funzionale: trasgredisce la "seconda legge della Normalità", che è l'"equilibrio". Equilibrio significa anche: essere neutri. Stinti. Grigi. Come un brand. Come un lago ghiacciato.
Più sei stinto e grigio, meno provochi in altri emozioni e reazioni, e meno ti noteranno. Se ti notano, puoi piacere o non piacere. Nella maggior parte dei casi, non piaci e vieni svalutato. Andare in eccesso da una direzione o da un'altra reca questo spiacevole inconveniente. Sei visibile, e quindi giudicabile. Ti metti in mostra, e quindi sei un esibizionista.
Perciò bisogna assomigliare a robot. Androidi. Involucri privi di emozioni. Perché le emozioni, esternate in un certo modo, sono infantili. Le emozioni troppo forti spaventano.
Nel film "Inside out 2" Gioia proferisce una frase: "Forse è questo che succede quando si cresce: si affievolisce la gioia". Ma non è proprio così. Ci sono persone - come me - che sanno tenere viva nel cuore un'inscalfibile gioia. E che - innegabile - per questo vengono disprezzate ed isolate.
«Guai a sacrificarsi, guai a regalare le cose o se stessi al prossimo.
La gente, prende, prende, e più prende più ti sputa in faccia.»
(O. Fallaci)
Ma, ora che ci penso: chi se ne importa? Chi se ne importa di cosa pensano gli altri, se a me piace stringere le loro mani, ridere alle loro battute, farne di mie, intrufolarmi con entusiasmo nei loro discorsi?
Sono forse pazza? Sono fastidiosa? Non mi importa. Il mio mondo non finisce dove finiscono le mie scarpe. Ciò che mi circonda è parte di me e risuona con me. Spargerò nel mondo la mia "tremenda voglia di vivere" qualunque sia il raccolto che ne trarrò.
Sarò furiosa, d'una gentilezza dolce e stucchevole, dirò una marea di cazzate, commetterò gaffe su gaffe, ma riderò, di tutto, di tutto sempre, sempre tutto mi lascerò alle spalle, perché sono stanca di soffrire.
Io evito di pensare ai problemi. Non ci voglio pensare - credo di averci pensato abbastanza. Voglio solo il sole, il sole e un sorriso sulle labbra. E dare al mondo che esploro il mio segno, di gioia e di amore incondizionato.
E' presuntuoso, ma io vorrei diventare una persona buona... che non fa del male a nessuno, che non nuoce nessuno, che non ferisce anima viva. E se questo "non è normale" nel mondo la cui regola è il homo homini lupus, sarò felice di essere un'anticonformista. Perché la gioia che provo nel dare è personale. Non è volta a nessun tornaconto. Se non il tornaconto del dare stesso.
Sono felice, davvero felice di essere in questo mondo.
La vita è breve, devo dare amore. Devo sforzarmi di mantenermi sull'equilibrio dell'amore, della gentilezza, della comprensione, della compassione.
Ho le mani lerce del sangue degli altri.
Chi sa se dio potrà mai perdonarmi?
Io voglio cancellare la macchia del sangue dalle mie mani...